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o6 - Campo 160, Suzdal': fame atroce e propaganda asfissiante

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coperina   La vista, in un pomeriggio inoltrato, di un grosso paese che si stagliava in lontananza tra il nevischio e la densa nebbia ci rincuorò un poco e ci infuse nuova lena per proseguire. Una grande cerchia di mura con svettanti torrioni a cipolla e uno spesso, alto portone d'ingresso - tipo castello medioevale - ci accolsero.

   Nella fortezza antica diversi caseggiati in muratura segnati dagli anni ci offrirono finalmente un riparo. Erano scomparsi l’immenso cielo che sovrastava sulla steppa infinita e il vasto orizzonte che si confondeva in lontananza con la stessa terra; sopra di noi restava un piccolo fazzoletto di cielo, dintorno le alte mura e i possenti torrioni: un luogo tetro ma finalmente eravamo arrivati alla meta e sotto un tetto per ripararci. Eravamo nel lager di Suzdal’, al Campo n. 160; la nostra dimora che ci avrebbe ospitati per tutta la lunga prigionia in Russia. Finite d’incanto le tragiche, lunghe, interminabili marce del davai; svanito il ricordo amaro del treno del pianto e della morte, si riaffacciava in noi la speranza di un domani migliore, non certo immaginabile peggiore dell’oggi. Dopo tanto penare finalmente ricominceremo a vivere, o per lo meno a non più morire - pensarono gli affranti e sfiniti celoviek colmi di speranza nel cuore mentre si sdraiavano sui duri tavolacci che il convento offriva per l’agognato riposo.

o5 - Prigioniero dell’Armata Rossa

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coperina   La notte che ancora rimane è breve e con le prime luci dell’alba che accompagna il giorno che nasce, il 21 dicembre del 1942, dalle balke attorno al paese sciamano verso di noi le fanterie russe, accompagnate dai pesanti T-34 che fanno tremare attorno la terra ancora addormentata ma pur sempre viva.

   Nessuna reazione da parte nostra è umanamente possibile; sappiamo bene cosa ci aspetta e siamo rassegnati al peggio. Non nascono bersaglieri che in qualsiasi tragico frangente possano pensare di sottrarsi alla morte, al dolore, al destino più crudele uccidendosi o stupidamente facendosi uccidere.

   Dalle isbe escono a gruppi gli scampati ancora intontiti dal sonno e sfiniti; muti, con le mani alzate si mettono in fila sul ciglio della strada spinti dal vociare arrogante e dalle botte sulla schiena coi calci dei fucili che russi e mongoli usano d’abitudine come linguaggio interrelazionario coi vinti. Ogni colpo è seguito da un:

o4 - 20 dicembre: l'assalto alle linee nemiche a Meskov e la ritirata su Konovalov-Kalmikov

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coperina   Sono le due di notte del 20 dicembre; domani, nel mondo cristiano la chiesa canta lodi a san Tommaso in attesa di festeggiare il giorno 25, la Pasqua santa. Un detto montanaro mi viene alla mente: per san Tomè (san Tommaso) il giorno cresce quanto il gallo alza il piè, considerato che per santa Lucia, il 13, si vive il giorno più corto che ci sia. Scienza e astronomia paesana, con necessità di rima, si avvicinano ma poi proprio così non è, ma fa lo stesso.

   Per ingannare il turbinio dei pensieri che si accavallano in mente e per non cedere al faticoso viandare, assieme al detto montanaro sussurro a mezza voce una antica tiritera che la mamma mi aveva insegnato, prima di andare a scuola, per prepararmi al santo Natale: il 2 santa Bibbiana benedetta, il 4 santa Barbara beata, il 6 san Niccolò che vien per via, l’8 concezion santa Maria, il 13 ci dà santa Lucia, il 21 san Tomè la chiesa canta e il 25 vien la Pasqua santa. Aleci, preoccupato, mi chiede se sto recitando il santo Rosario per purgare una parte dei peccati commessi.

Il tragico dopoguerra in Emilia-Romagna tra cronaca e storia /4

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di Giovanni Fantozzi

IV capitolo - Le stragi

Nei limiti del presente lavoro, e stante l'attuale scarsità di ricerche al riguardo, sarebbe praticamente impossibile dare un conto anche solo approssimativo delle violenze consumate nel dopoguerra.

Il tragico dopoguerra in Emilia-Romagna tra cronaca e storia /3

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di Giovanni Fantozzi

III capitolo - Sacerdoti

Nell'arco di poco più di un anno, dalla Liberazione al 18 giugno 1946, cadono in Emila-Romagna, uccisi dall'estremismo rosso, sedici sacerdoti.

Il tragico dopoguerra in Emilia-Romagna tra cronaca e storia /2

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di Giovanni Fantozzi

II capitolo - Cattolici e democratici cristiani

All'indomani della Liberazione, i democristiani sono in prima linea nell'opporsi alle violenze e ai miti della rivoluzione "rossa".

Il tragico dopoguerra in Emilia-Romagna tra cronaca e storia /1

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di Giovanni Fantozzi

I capitolo

Era necessario che crollasse il muro di Berlino per cominciare ad aprire lo scomodo album di famiglia dei comunisti italiani e far riemergere dal dimenticatoio della storia gli effetti che provocò lo stalinismo dove ebbe la forza politica di imporsi.

o3 - 17 dicembre: i russi all’attacco delle nostre retrovie

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coperina    Spunta tra l’incerto chiarore il giorno 17 dicembre 1942. Sono le otto del mattino e l’alba comincia appena a distendere sul paesaggio, sugli uomini, su tutto le prime, incerte e timorose luci. È un’alba grigia come gli eventi che gravano su di noi e stanno scivolando verso un tragico epilogo. Essa stessa, l’alba, pare sorpresa di vederci ancora attestati sulle trincee di Migulinskaja, per questo stenta a spuntare. Il freddo è intenso e il termometro segna trenta gradi sotto lo zero. Ogni tanto una sferzata di gelido vento schiaffeggia il viso; alcuni cristalli di neve ghiacciata dondolano per l’aria, scendono, risalgono, volteggiano un poco e poi cadono a terra per rialzarsi in un turbinio vorticoso assieme a tanti altri. Ovunque, su tutta la linea, silenzio profondo e una calma irreale turbata solo da un lungo brontolio non troppo distante. Quanto pagheremmo per un’ora di riposo, e in un dolce tepore!

o2 - L’inverno 1942 nell’impero dei Soviet: accerchiati dall’Armata Rossa

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coperina    Per sfuggire al presente, la mente ed il cuore del vecchio celoviek bersagliere si tuffano nel passato e si ritrovano nel bel mezzo dell’anno 1941, dopo Cristo. In quel tempo, il bersagliere non ancora celoviek, tolto dall’università di Venezia fu spedito a Bolzano presso il 7° Reggimento Bersaglieri, poi inviato alla Scuola Allievi Ufficiali di Pola e, terminato il corso, spedito a Lodi, poi a Milano e assegnato al più bel reggimento d’Italia, il 3° Reggimento Bersaglieri, appunto. Assegnato al XVIII Battaglione Complementi di stanza a Besozzo, completò la preparazione militare a Portovaltravaglia, a Cavalese e infine ritornò a Milano da dove, come volontario comandato, si accinse a partire per il fronte russo dove l’Armir teneva alto l’onore dell’esercito italiano e difendeva i sacri voleri e gli alti destini della Patria.

o1 - La mia storia

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coperina    Non sono, in verità, né un valente scrittore (mediocre è dire molto, anzi troppo) né uno storico eccellente; no, no, molto di molto meno, onestamente. Non credo pure d’essere un santo timorato, certamente che no; o un triste peccatore condannato, chissà. Forse ci sono: può darsi ch’io sia un vile od un eroe? Mah! In fin dei conti, oggi, che differenza fa?

   Tanto per non sbagliarmi e in questo zibaldone dico che non son nulla, anzi poco di niente; di una cosa però son certo veramente: ancor sana ho la mente, la memoria è di ferro, né m’incuton spavento l’ulular e il belar di certa gente, nostrana o del potente.
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