Una sera qualunque il c.b. sente dire da radio-gavetta clandestina che un fortunato gruppetto di compagni è andato a lavorare in un magazzino di un kolkos di Suzdal’ poco distante dal lager. Sembra, pare, comunque si sussurra che qualcuno dei celoviek lavoratori sia riuscito a riportare dentro alle mura del lager qualche ortaggio, carote in particolare e pomodori anche, purtroppo sottratti al popolo russo. Carote rosse come le mura e i torrioni, sussurra qualcuno; carote lunghe come le ciminiere, mormorano altri; che carote, gente!, sospirano tutti. E i pomodori? Grossi e rossi come certi testoni che si vedono in giro, afferma un ignoto; tondi e teneri come le tette della kolkosiana Katiuscia, giura un anonimo.
Ma come avranno fatto quei cristi a sfuggire alla regolare perquisizione del ritorno e a non farsi beccare? È un vero mistero, pensano in molti. La solita vocina che nasce dal nulla farfuglia che lo stratagemma escogitato dai celoviek, cinque o sei, bolognesi per lo più, con Grazia e Medini protagonisti, è stato di una semplicità impensabile ed ha reso bene. Aiutati che Iddio ti aiuta, uomo! Infatti il gruppetto dei prigionieri lavoratori contadini, al termine della giornata kolkosiana che consisteva in caricare e scaricare barilotti e ceste di ortaggi vari, crauti in quantità, freschi o in salamoia, e secondo la norma in vigore nei paesi socialisti, veniva perquisito regolarmente e scrupolosamente, prima del rientro al Campo, dal nacialnik magazziniere; uomo abbastanza grassoccio e un po’ in là con gli anni. Con le mani frugava nelle tasche delle giacche, in quelle dei pantaloni; poi, con le palme delle mani tastava il corpo dei celoviek per scoprire se sotto gli indumenti si celassero rigonfiamenti sospetti. Quando le palme frugavano i pantaloni, probabilmente per una discopatia congenita o per una artrosi lombare consolidata o di recente accentuatasi, non riusciva a piegare troppo il busto e pertanto la perquisizione scrupolosa tattilo-manuale terminava sempre all’altezza delle ginocchia, o quasi; non oltre. I celoviek, che avevano sì perso tutto ma non la vivacità intellettiva dell’arrangiamento e la creatività, caratteristiche queste dell’italiano medio, annotarono il tutto e lo tennero in debito conto. Nel frattempo qualcuno pensò: se le scarpe non si allacciano troppo strette, anzi niente, e se gli avanzi dei bucherellati calzini reggono, tra la pelle e la maglia, dal polpaccio spolpato e fino al malleolo qualcosa vi si potrebbe nascondere, no? Tutto sta nell’avere il coraggio di tentare, di verificare, magari la prima volta con una piccola carotina; poi, in seguito, se lo stratagemma riesce, il gioco è fatto. Un sicuro rifornimento vegetale, vitaminico, soprattutto cibario potrebbe essere assicurato sia agli onesti lavoratori sia a qualche amico più caro. E così fu. Infatti, dopo l’ansioso primo tentativo andato bene, la parte inferiore dei calzini contenitori, dal ginocchio al malleolo, si gonfiò sempre più e per un breve periodo ortaggi di vario genere, primizie impagabili per quei tempi di carestia, si trasferirono, volenti o nolenti, pedissequamente da un barilotto kolkosiano di proprietà del popolo socialista ad un sicuro rifugio di qualche fortunato prigioniero borghese e reazionario residente nel lager 160 di Suzdal’. Il resto non fa storia, anche se l’epilogo terminò su un tavolaccio, cioè in prigione.