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15 - A Odessa

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coperina   Da Suzdal’, duecento chilometri a nord est di Mosca, a Odessa, sul mar Nero, la prima tappa del nostro lungo viaggio di ritorno in Patria; chilometri a migliaia. Sdraiati sui pianali dei carri merci, al buio, con le porte sprangate dal di fuori, con una grande stanchezza in corpo ma tanta gioia in cuore, i celoviek sopportarono tutti i disagi del viaggio pur di andare ogni giorno di più verso il traguardo finale: la nostra terra, l’Italia.

   Ogni tanto il treno si fermava in aperta campagna o alla periferia di stazioncine sconosciute e le soste ci consentivano un po’ di riposo, qualche passo lungo i binari sotto la sorveglianza delle guardie russe coi mitra spianati, il soddisfacimento dei bisogni corporali che, caso strano, proprio perché svolti in aperta campagna, singolarmente e non in gruppi come nel lager, ti davano sia un benessere fisico che psichico. Giorno dopo giorno, settimane dopo settimane pure, ecco apparire infine una grande città: Odessa.

14 - Suzdal’ addio

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coperina   E quella speranza che per oltre quattro anni ci aveva sorretto e guidati avanti si avverò il 25 aprile dell’anno 1946. Di buon mattino, in un giorno qualunque, il miracolo tanto atteso e desiderato, invocato di giorno e di notte, nella vita e vicino alla morte, si avverò; d’improvviso il desiderio da tutti sognato, dai vivi e dai morti, diventò realtà. E tutto avvenne senza segni premonitori, così, all’istante e come un fulmine a ciel sereno o una tempesta tropicale, come un uragano sulle alte cime dei monti o un violento temporale estivo.

   Krastin, Novikov, Majorov, o come si chiamava il comandante del lager70, di buon mattino fa scendere in cortile tutti gli ufficiali italiani superstiti dell’Armir (570) e con voce severa, come di abitudine per un membro della nomenklatura e un comandante compagno della rossa Armata democratica, comunica:

13 - Rimpatriano i soldati italiani scampati al massacro

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coperina   Un fulmine ha squarciato il cupo cielo che di solito grava sul Campo 160; oggi tutti i prigionieri, nessuno escluso, sono stati colpiti da un’epidemia di euforia acuta che lascerà il segno nel restante periodo dell’anno in corso, il 1945. I pori della pelle anziché umori sprizzano a getti gioia e letizia; le banche dati situate nelle zone corticali profonde delle ridotte masse cerebrali cancellano con un colpo di spugna e soda caustica i tristi ricordi degli orrori passati, dei sovrumani sacrifici sopportati, degli infiniti soprusi subiti, la fame, la sete, la morte, tutta la vita vissuta negli anni trascorsi in prigionia.

   Tabula rasa! Nel lager c’è chi va, chi corre, chi salta, chi canta e chi balla; alcuni vociano come al mercato, altri urlano, qualcuno si abbraccia; non pochi invece, più compostamente emozionati, per un attimo pregano e innalzano preci al Signore, poi anch’essi si tuffano nel bailamme generale che invade il Campo.

12 - L’associazione segreta e il giuramento dei disperati

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coperina   E la vita (ma che vita, ’sta vita!) riprese a trascorrere; lenta come al solito nel famigerato lager staliniano di Suzdal’, veloce nel mondo.

   Il c.b., durante il limitato peregrinare rigenerativo giornaliero del Campo, incontra quotidianamente, fra le tante, la solita faccia amica di un caro amico più caro degli altri cari: Pontieri, il collega bersagliere del Terzo.

   All’imbrunire, nell’ora in cui di solito ai naviganti s’intenerisce il cuore e ai celoviek s’indurisce, i due duri del Campo 160 passeggiano nel vialetto e sottovoce parlottano fra di loro. Ci sono alberi dintorno e rari passanti in giro; comunque meglio essere prudenti considerato che in questo luogo d’inferno orecchie indiscrete, occhi acuti si possono trovare tra le fronde, negli oggetti, in ogni dove, anche al cesso. Per fortuna che il freddo ormai pungente e quel pezzetto di cielo già scuro, quasi nero, che preannuncia tempesta, tolgono ai più il desiderio di fare quattro passi distensivi. Il sommesso chiacchierare s’interrompe sempre alla vista di persone, animali e cose e riprende una volta aggirato l’ostacolo. Chi vive nel lager di Suzdal’ non si meraviglia affatto e non dice niente perché oramai ha fatto l’abitudine a questo andazzo, a questo strano modo di vivere comune in tutti i possedimenti dell’impero rosso.

11 - Operazione Cornacchie

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coperina   Una sera qualunque il c.b. sente dire da radio-gavetta clandestina che un fortunato gruppetto di compagni è andato a lavorare in un magazzino di un kolkos di Suzdal’ poco distante dal lager. Sembra, pare, comunque si sussurra che qualcuno dei celoviek lavoratori sia riuscito a riportare dentro alle mura del lager qualche ortaggio, carote in particolare e pomodori anche, purtroppo sottratti al popolo russo. Carote rosse come le mura e i torrioni, sussurra qualcuno; carote lunghe come le ciminiere, mormorano altri; che carote, gente!, sospirano tutti. E i pomodori? Grossi e rossi come certi testoni che si vedono in giro, afferma un ignoto; tondi e teneri come le tette della kolkosiana Katiuscia, giura un anonimo.

   Ma come avranno fatto quei cristi a sfuggire alla regolare perquisizione del ritorno e a non farsi beccare? È un vero mistero, pensano in molti. La solita vocina che nasce dal nulla farfuglia che lo stratagemma escogitato dai celoviek, cinque o sei, bolognesi per lo più, con Grazia e Medini protagonisti, è stato di una semplicità impensabile ed ha reso bene. Aiutati che Iddio ti aiuta, uomo! Infatti il gruppetto dei prigionieri lavoratori contadini, al termine della giornata kolkosiana che consisteva in caricare e scaricare barilotti e ceste di ortaggi vari, crauti in quantità, freschi o in salamoia, e secondo la norma in vigore nei paesi socialisti, veniva perquisito regolarmente e scrupolosamente, prima del rientro al Campo, dal nacialnik magazziniere; uomo abbastanza grassoccio e un po’ in là con gli anni. Con le mani frugava nelle tasche delle giacche, in quelle dei pantaloni; poi, con le palme delle mani tastava il corpo dei celoviek per scoprire se sotto gli indumenti si celassero rigonfiamenti sospetti. Quando le palme frugavano i pantaloni, probabilmente per una discopatia congenita o per una artrosi lombare consolidata o di recente accentuatasi, non riusciva a piegare troppo il busto e pertanto la perquisizione scrupolosa tattilo-manuale terminava sempre all’altezza delle ginocchia, o quasi; non oltre. I celoviek, che avevano sì perso tutto ma non la vivacità intellettiva dell’arrangiamento e la creatività, caratteristiche queste dell’italiano medio, annotarono il tutto e lo tennero in debito conto. Nel frattempo qualcuno pensò: se le scarpe non si allacciano troppo strette, anzi niente, e se gli avanzi dei bucherellati calzini reggono, tra la pelle e la maglia, dal polpaccio spolpato e fino al malleolo qualcosa vi si potrebbe nascondere, no? Tutto sta nell’avere il coraggio di tentare, di verificare, magari la prima volta con una piccola carotina; poi, in seguito, se lo stratagemma riesce, il gioco è fatto. Un sicuro rifornimento vegetale, vitaminico, soprattutto cibario potrebbe essere assicurato sia agli onesti lavoratori sia a qualche amico più caro. E così fu. Infatti, dopo l’ansioso primo tentativo andato bene, la parte inferiore dei calzini contenitori, dal ginocchio al malleolo, si gonfiò sempre più e per un breve periodo ortaggi di vario genere, primizie impagabili per quei tempi di carestia, si trasferirono, volenti o nolenti, pedissequamente da un barilotto kolkosiano di proprietà del popolo socialista ad un sicuro rifugio di qualche fortunato prigioniero borghese e reazionario residente nel lager 160 di Suzdal’. Il resto non fa storia, anche se l’epilogo terminò su un tavolaccio, cioè in prigione.

10 - La vita al Campo 160: che fisico, il fisico degli scampati, e che fame la fame!

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coperina   La vita nel lager continua nell’inedia e con la solita, incrollabile speranza, soprattutto con la stessa fame di sempre, che è sempre più fame. Che fame è la fame, gente! Tornano intanto la primavera e l’estate insieme; l’aria si fa tiepida e poi calda; la natura tutta si desta dal letargo e con forza risveglia l’intero creato. Il sole solletica e stuzzica le assopite e ammuffite vigorie (scarse per la verità) dei voienni, dei prigionieri.

   Nel programma cultural-ricreativo e social-proletario, anch’esso sensibile ai mutamenti stagionali, figurano pure esercizi fisici e sport di massa. - Mens sana in corpore sano - pensano in molti ma non lo dicono perché certi detti possono suscitare incomprensioni ed oscuri pensieri, oltre a guai. Meglio star sul sicuro al campo 160 di Suzdal’, non si sa mai. La cultura fisica è variegata: palla a volo, campionato di calcio con palloni fatti di stracci tenuti assieme da legacci di fortuna e poco resistenti; incontri di pugilato, corse senza ostacoli perché superarli sarebbe un grosso problema; saggi ginnici depurati da reminiscenze note e compromettenti. Quella culturale non è da meno, anzi cresce, aumenta ogni giorno d’intensità e di volume ma è sempre la stessa: biblioteca, conferenze, appelli, teatro con rivista e spettacoli vari (senza satira alcuna tranne che per le ideologie clerical-fasciste), il giornale Alba, quello murale, le discussioni, i colloqui, le tavole rotonde, gli aggiornamenti e gli indottrinamenti d’obbligo.

o9 - Il primo colloquio interrelazionario con la nomenklatura e l'appello per Trieste alla Iugoslavia

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coperina   Nel lager solito vivere, stessa fame, inedia e rabbia a non finire. L’Alba, da foglio notizie a giornale, è sempre più chiara e più lunga; i tramonti sempre più brevi e più scuri; rare e intime le lodi al Signore.

   Un dì, non di festa ma qualunque, anche il c.b. venne convocato alla Kommandantura. Ad attenderlo c’erano tre illustri personaggi: un russo noto non per le mongole sembianze ma per le mostrine azzurre;

   un Tizio che parlava in un italiano dialettale, tutto d’un pezzo, immobile, serio serio tanto che non doveva aver mai sorriso in vita sua perché i muscoli facciali sembravano bloccati, forse lesi da una vecchia paresi facciale da refrigerazione, e accompagnava il suo dire con scatti improvvisi e ripetitivi tanto che assomigliava a un Robot; poi un Caio, impassibile, compunto, un non-parlatore formidabile nato, che stranamente ricordava uno di quegli addetti alle informazioni che di solito, nel nostro paese, vivono dentro le guardiole all’ingresso delle grandi fabbriche o negli ospedali enormi tipo Rizzoli di Bologna50. I tre interrogarono a lungo il c.b. (ma con un linguaggio più consono al clima distensivo-collaborativo instaurato nel Campo, si dovrebbe dire “colloquiarono”):

27 gennaio: Giorno della Memoria

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Legge 20 luglio 2000, n. 211 - articolo 1:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»

o8 - I celoviek boscaioli e gli uomini-cavalli

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coperina   I giorni intanto passano lenti come son lente le ore; il tempo tuttavia scorre ugualmente coi ritmi che la natura gli ha fissato. Il c.b. vive la solita vita di ieri, di oggi e forse di domani; la stessa vita di sempre. Le carte intanto, ultimate, sono state battezzate col rito ortodosso e benedette col ciai, sbrodaglia tipo tè-celoviek. Belle, bellissime!

   Una partitina a bridge o a poker con esse inganna per un’ora la noia, attenua l’angoscia, smorza la rabbia, i pensieri e gli affanni dei prigionieri, attualmente in fase di leggera ripresa psico-fisica. La fame però è sempre la stessa; immutato l’assillo dell’Nkvd; ricorrente il timore di una partenza improvvisa per il Campo 27, la scuola di mistica comunista di Mosca; o per la Lubianka, il carcere malfamato del potere staliniano; o per la lontana Siberia, l’invivibile terra dei gulag44. Le delazioni proletarie e progressiste, numerose come le feci delle mosche, meglio non ricordarle per carità pagana. La bella stagione si apre a forza la strada anche qua; il tepore del sole sconfigge il freddo intenso del lungo ed uggioso inverno; la primavera passa rapida e silenziosa per far posto all’estate corta ma calda.

o7 - Di che nobile carta le carte proletarie: due articoli per L’Alba

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coperina   I prigionieri, in questo periodo di fervore educativo collettivo, vengono sollecitati a ravvivare con opere, azioni, scritti e intenti il movimento di rinnovamento culturale che è sbocciato nel Campo, purtroppo non più tanto affollato. Più che sollecitati, per dire il vero, assillati. La Scuola 27 di Mosca, i campi di rieducazione, i colloqui democratici e interrelazionari divengono per molti un incubo pari alla fame. Più dei russi dalle mostrine azzurre e dalla visiera tipo pensilina (Nkvd), sono insopportabili i fuoriusciti nostrani e i ravveduti improvvisati. Quei famosi nomi degli astri nascenti, in questa fase storica di rinnovamento, sono più noti di Attila, Alboino, Erode, Nerone e Genghiz khan compreso.

   Anche al c.b., oltre che di firmare appelli e petizioni, mai firmati ma a che prezzo, viene chiesto più volte di concorrere al rinnovamento culturale con articoli, recensioni, scritti da pubblicare sull’Alba, sempre più radiosa ed asfissiante. Ma che cosa scrivo, su che argomento mi cimento, come dialogo se sono tutt’ora ancorato alla decrepita e moribonda cultura che mi ha educato e non sono in grado di calarmi nel nuovo, che par bello, anzi più bello ma non convince affatto, per niente? Un compaesano del c.b., un bolognese, già addentro alle segrete cose perché da subito dedito anima e corpo al nuovo credo marxista-leninista e staliniano, fa sapere indirettamente, ma poi mica tanto, al reazionario celoviek che sarebbe un grande “merito più che meritevole”, scrivere un articolo per L’Alba su un tema di attualità per domani: “Scuola e democrazia”, oppure “Una nuova scuola per il popolo che educhi le nuove generazioni alla democrazia progressista e al sorgente ordine social-comunista che sta per essere instaurato in Italia e nel mondo”.
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