Fanin, un delitto nato dall’estremismo dell’ideologia
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Versione adatta alla stampadi Alessandro Ferioli
Tratto da Avvenire - Bologna 7 di domenica 4 novembre 2007
Cinquantanove anni fa, nella tarda serata del 4 novembre 1948, un giovane giaceva in agonia sulla via Biancolina di San Giovanni in Persiceto. Era stato da poco aggredito, mentre rincasava in bicicletta, da tre uomini che l’avevano massacrato a pugni e colpi di spranga. Soccorso da un uomo di passaggio e condotto all’ospedale, morì nelle prime ore del giorno successivo.
Il suo nome era Giuseppe Fanin, di anni 24, impiegato delle Acli e dirigente del neonato sindacato cattolico bolognese, costituito da pochi mesi appena. L’agguato era stato il frutto d’una campagna d’odio condotta presso i lavoratori persicetani da certi militanti di sinistra, che nelle settimane precedenti avevano additato i sindacalisti cristiani come crumiri, nemici del popolo, servi degli agrari e fascisti.
Così qualcuno doveva avere trovato naturale zittire il più intraprendente e capace tra questi: del resto, in una zona ormai rassegnata alla guerra di classe, dove gli estremisti avevano già ucciso impunemente il parroco di Lorenzatico don Enrico Donati, le bocche sarebbero rimaste senz’altro cucite. Invece il dopoguerra era assai più lontano di quanto gli assassini non stimassero. Appena venti giorni più tardi i Carabinieri, dopo un frenetico giro di fermi e interrogatori, ebbero la confessione del segretario della Sezione Centro del Pci persicetano, il quale ammise di avere ordinato l’aggressione e indicò i nomi dei tre compagni che ne erano stati gli esecutori materiali. L’assassinio va inquadrato in una prospettiva storica che vede come eventi cruciali le elezioni del 18 aprile e la rottura dell’unità sindacale.
Dopo la schiacciante vittoria democristiana, infatti, si era aperta ancora di più la frattura già esistente all’interno della Cgil fra i socialcomunisti di Giuseppe di Vittorio, che detenevano la maggioranza e la guida del sindacato, e i cattolici di Giulio Pastore. Questi ultimi, espressione di un governo solidissimo, non potevano continuare a essere minoranza in un sindacato che si era ormai trasformato, sotto il controllo comunista, in un grimaldello per scardinare il governo. Difatti dopo l’esclusione dei socialcomunisti dal nuovo governo De Gasperi, nel maggio 1947, i due opposti poli avevano assunto posizioni ormai inconciliabili, attestate sulle rispettive ideologie di riferimento, e la Cgil aveva dato avvio, già dall’estate, a una lunga serie di scioperi di natura apertamente politica. La rottura dell’unità sindacale e la nascita di un nuovo soggetto, la Libera Cgil di orientamento cattolico (poi Cisl), indebolirono l’azione delle Camere del lavoro, mentre la legge-Fanfani, che toglieva le funzioni di collocamento ai sindacati per riservarle allo Stato, privava la Cgil di un efficace strumento di inquadramento delle masse lavoratrici. Fu in questo contesto che la violenza degli estremisti si riversò contro i sindacalisti cattolici e contro i braccianti che, rivolgendosi a quelli, lasciavano la Cgil.
Nei mesi precedenti la sua morte, Fanin si era dato interamente all’attività nelle Acli-terra, divenendone l’esponente di punta: nonostante le buone possibilità che la laurea in Agraria gli offriva, era il sindacato a rappresentare per lui la più urgente forma d’apostolato e di servizio alle persone, sulla linea della «Rerum novarum» e della «Quadragesimo anno». Fanin lottò per una nuova stagione, segnata da un rapporto più costruttivo fra le parti: una tutela strettamente sindacale, non ideologica ma interclassista, volta al progresso sociale dei lavoratori attraverso un patto di compartecipazione che nel persicetano era molto caldeggiato. L’opera terrena di Fanin fu interrotta il 4 novembre ’48, ma oggi è in corso il suo processo di beatificazione.
Di recente un’associazione locale, «Il Mascellaro», mostra molto interesse su di lui: nel sito www.mascellaro.info offre notizie e documenti, oltre al testo integrale del libro che i fucini persicetani compilarono nel 1948, e ha in preparazione un volume miscellaneo con un saggio e ricordi di amici.
Tratto da Avvenire - Bologna 7 di domenica 4 novembre 2007
Cinquantanove anni fa, nella tarda serata del 4 novembre 1948, un giovane giaceva in agonia sulla via Biancolina di San Giovanni in Persiceto. Era stato da poco aggredito, mentre rincasava in bicicletta, da tre uomini che l’avevano massacrato a pugni e colpi di spranga. Soccorso da un uomo di passaggio e condotto all’ospedale, morì nelle prime ore del giorno successivo.
Il suo nome era Giuseppe Fanin, di anni 24, impiegato delle Acli e dirigente del neonato sindacato cattolico bolognese, costituito da pochi mesi appena. L’agguato era stato il frutto d’una campagna d’odio condotta presso i lavoratori persicetani da certi militanti di sinistra, che nelle settimane precedenti avevano additato i sindacalisti cristiani come crumiri, nemici del popolo, servi degli agrari e fascisti.
Così qualcuno doveva avere trovato naturale zittire il più intraprendente e capace tra questi: del resto, in una zona ormai rassegnata alla guerra di classe, dove gli estremisti avevano già ucciso impunemente il parroco di Lorenzatico don Enrico Donati, le bocche sarebbero rimaste senz’altro cucite. Invece il dopoguerra era assai più lontano di quanto gli assassini non stimassero. Appena venti giorni più tardi i Carabinieri, dopo un frenetico giro di fermi e interrogatori, ebbero la confessione del segretario della Sezione Centro del Pci persicetano, il quale ammise di avere ordinato l’aggressione e indicò i nomi dei tre compagni che ne erano stati gli esecutori materiali. L’assassinio va inquadrato in una prospettiva storica che vede come eventi cruciali le elezioni del 18 aprile e la rottura dell’unità sindacale.
Dopo la schiacciante vittoria democristiana, infatti, si era aperta ancora di più la frattura già esistente all’interno della Cgil fra i socialcomunisti di Giuseppe di Vittorio, che detenevano la maggioranza e la guida del sindacato, e i cattolici di Giulio Pastore. Questi ultimi, espressione di un governo solidissimo, non potevano continuare a essere minoranza in un sindacato che si era ormai trasformato, sotto il controllo comunista, in un grimaldello per scardinare il governo. Difatti dopo l’esclusione dei socialcomunisti dal nuovo governo De Gasperi, nel maggio 1947, i due opposti poli avevano assunto posizioni ormai inconciliabili, attestate sulle rispettive ideologie di riferimento, e la Cgil aveva dato avvio, già dall’estate, a una lunga serie di scioperi di natura apertamente politica. La rottura dell’unità sindacale e la nascita di un nuovo soggetto, la Libera Cgil di orientamento cattolico (poi Cisl), indebolirono l’azione delle Camere del lavoro, mentre la legge-Fanfani, che toglieva le funzioni di collocamento ai sindacati per riservarle allo Stato, privava la Cgil di un efficace strumento di inquadramento delle masse lavoratrici. Fu in questo contesto che la violenza degli estremisti si riversò contro i sindacalisti cattolici e contro i braccianti che, rivolgendosi a quelli, lasciavano la Cgil.
Nei mesi precedenti la sua morte, Fanin si era dato interamente all’attività nelle Acli-terra, divenendone l’esponente di punta: nonostante le buone possibilità che la laurea in Agraria gli offriva, era il sindacato a rappresentare per lui la più urgente forma d’apostolato e di servizio alle persone, sulla linea della «Rerum novarum» e della «Quadragesimo anno». Fanin lottò per una nuova stagione, segnata da un rapporto più costruttivo fra le parti: una tutela strettamente sindacale, non ideologica ma interclassista, volta al progresso sociale dei lavoratori attraverso un patto di compartecipazione che nel persicetano era molto caldeggiato. L’opera terrena di Fanin fu interrotta il 4 novembre ’48, ma oggi è in corso il suo processo di beatificazione.
Di recente un’associazione locale, «Il Mascellaro», mostra molto interesse su di lui: nel sito www.mascellaro.info offre notizie e documenti, oltre al testo integrale del libro che i fucini persicetani compilarono nel 1948, e ha in preparazione un volume miscellaneo con un saggio e ricordi di amici.
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